Cerchiamo oggi di analizzare in modo dettagliato il recente provvedimento governativo relativo alla regolarizzazione dei migranti.
Nelle intenzioni di alcune componenti del governo la regolarizzazione doveva interessare circa seicentomila persone; in realtà, secondo stime del Ministero degli Interni, ne coinvolgerà solo duecentomila. Questo perché, per la pressione del Movimento 5 Stelle, sono state imposte alcune limitazioni per restringere la platea delle persone interessate a quelle che lavorano (o intendono lavorare) solo in alcuni settori: agricoltura e allevamento, assistenza agli anziani e cura della casa.
I canali previsti per la regolarizzazione sono due.
- Il primo prevede l’ottenimento automatico del permesso di soggiorno grazie alla stipula di un contratto di lavoro.
Il datore di lavoro può sia instaurare un rapporto ex novo sia regolarizzare un migrante che in precedenza era da lui impiegato “in nero”, ottenendo in questo secondo caso una sanatoria per il suo comportamento illegale. Questa misura riguarda anche i lavoratori italiani, precedentemente impiegati in nero. Per la regolarizzazione basterà versare un contributo forfettario di 400 euro per ciascun lavoratore.
Rimangono esclusi dalla possibilità di regolarizzare migranti e lavoratori italiani precedentemente utilizzati in nero tutti coloro che si sono macchiati dei reati legati al traffico di esseri umani, alla prostituzione e allo sfruttamento.
- Il secondo canale prevede, per i migranti irregolari che già avevano lavorato nei settori interessati ma hanno perso il lavoro, un permesso temporaneo di sei mesi per cercare un nuovo impiego nei settori concordati.
I permessi di soggiorno ottenuti attraverso entrambi i canali sono legati al contratto di lavoro, ma fonti interne al governo fanno sapere che in caso di perdita del lavoro le persone regolarizzate non torneranno automaticamente irregolari ma avranno altro tempo per cercare un nuovo impiego. Se così non fosse, il migrante dopo sei mesi si ritroverebbe punto e a capo. Ci auguriamo che questo non accada.
Pur apprezzando le scelte del Governo, molte organizzazioni italiane che si interessano di immigrazione ne sottolineano alcuni limiti.
Innanzitutto si ritiene che andava ampliata la platea dei beneficiari ad altri settori lavorativi: sono stati infatti esclusi dal decreto i lavoratori della logistica, dell’artigianato, dell’edilizia e non è prevista nessuna protezione nemmeno per le donne irregolari vittima di tratta e violenze.
Inoltre si sostiene che la sanatoria, prevista per il reato commesso nell’impiegare un lavoratore irregolare, non sarà sufficiente per convincere la totalità dei datori di lavoro a regolarizzare i propri dipendenti.
Dal punto di vista economico, a meno di particolari incentivi, continuerà a essere molto più conveniente assumere un dipendente in nero: ha scarsissimo potere contrattuale, non ha diritti sindacali, non è protetto dalle leggi sul lavoro e soprattutto dà al suo capo la possibilità di non pagare i contributi al fisco italiano.
Senza incentivi, in pratica, il provvedimento rischia di servire a poco.
Posizioni particolarmente critiche sono espresse da Medici per i Diritti Umani, secondo cui “la sanatoria rappresenta solo il primo passo di una serie di misure [che devono essere] volte al contrasto dello sfruttamento in agricoltura, [….] di regolari, irregolari e non di rado anche di cittadini italiani” e da Aboubakar Soumahoro, bracciante e sindacalista di USB, che afferma “Contestiamo che la regolarizzazione sia riservata a chi ha un permesso di soggiorno scaduto dall’ottobre 2019, escludendo di fatto gran parte delle vittime dei decreti sicurezza tuttora in vigore“, ovvero coloro che si sono visti negata, dopo quella data, la protezione umanitaria o attendono da mesi una risposta dalle commissioni territoriali.
“Contestiamo – aggiunge ancora Soumahoro –il fatto che il permesso di soggiorno sia subordinato ad un contratto di lavoro perché rende ricattabili i lavoratori, rendendoli vulnerabili ad ogni forma di sfruttamento.”
Il rischio, in pratica, è che ai lavoratori vengano imposte paghe, orari, turni e condizioni molto diversi da quanto previsto nei contratti nazionali, che i braccianti immigrati saranno costretti ad accettare pur di non diventare di nuovo irregolari.
Un’altra voce critica è quella di Jacob Adam Ago, nigeriano di 38 anni, bracciante in Puglia, nonché animatore del progetto Sfrutta Zero che ha creato una filiera di produzione del pomodoro rispettosa dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori. A proposito del limite dei 6 mesi come durata massima del permesso di soggiorno Ago dichiara ” Una persona potrà essere regolare solo il tempo di vita di alcune piante. Così per noi sarà impossibile qualsiasi progetto di vita per il futuro” e ancora “Se non hai un permesso di soggiorno sufficientemente lungo non puoi difenderti e devi accettare qualsiasi offerta di lavoro”
In conclusione, il provvedimento sembra dettato soprattutto dall’esigenza di garantire il lavoro nelle campagne e l’arrivo del cibo sulle nostre tavole piuttosto che da quella di garantire dignità e diritti a tutti i lavoratori irregolari, italiani e stranieri.
Per questi motivi la USB ha proclamato per lo scorso 21 maggio lo “sciopero degli invisibili”, per sottolineare che “nelle campagne a mancare sono proprio i diritti degli agricoltori, dei contadini e dei braccianti, che siano italiani o no“.
fonti: Repubblica del 13 Maggio; Manifesto del 14 Maggio; Internazionale del 15 Maggio