Nei primi sei mesi del 2018, secondo gli ultimi dati diffusi dal ministero dell’interno, sono giunti in Italia 16.566 migranti, in maggioranza partiti dalla Libia. 5 volte in meno rispetto allo stesso periodo del 2017.
La riduzione degli sbarchi è avvenuta dopo l’ accordo tra l’ex ministro Minniti e Al Serraj, il premier del governo di unità nazionale di Tripoli, finalizzato ad un controllo sugli scafisti per ridurre le partenze. L’accordo prevedeva anche che fosse la guardia costiera libica a intervenire in operazioni di salvataggio, riportando i migranti in Libia. Un accordo molto criticato dalle organizzazioni internazionali e dalle organizzazioni umanitarie che hanno denunciato le pessime condizioni dei migranti in Libia, raccolti in centri di detenzione senza il minimo rispetto dei loro diritti umani.
Dal giugno 2018 ad oggi gli arrivi sono ancora più drasticamente diminuiti per la scelta del nuovo governo di impedire varie volte sbarchi sulle coste italiane, con la conseguenza drammatica di costringere centinaia di persone a trascorrere moltissimo tempo in mare, spesso con condizioni meteorologiche difficilissime, in attesa che altri paesi europei accettassero di accoglierle.
Da dove provengono i migranti giunti in Italia nel primo semestre del 2018 e qual è la situazione nei loro Paesi d’origine? Oltre tremila migranti hanno dichiarato di essere di nazionalità tunisina, seguiti da eritrei, sudanesi, nigeriani, ivoriani, maliani, guineani, iracheni, pakistani e algerini. Soffermiamoci sui primi quattro gruppi, che sono quelli più numerosi.
Tunisini
Dopo la “rivoluzione dei gelsomini” nel 2011, la Tunisia ha vissuto una grave crisi economica. e ancora oggi l’inflazione e la disoccupazione sono molto alte. Lo scorso anno le tasse previste su beni di prima necessità e l’aumento del prezzo della benzina hanno provocato molte proteste. Il movimento Fech Nestannew (“Cosa stiamo aspettando?”) ha cominciato a radunarsi anche fuori al parlamento di Tunisi chiedendo “lavoro, libertà e dignità nazionale” e centinaia di manifestanti sono stati arrestati. Per molti tunisini, le aspettative generate dalla Primavera araba sono state in parte disattese e la disperazione li ha portati ancora una volta a cercare di attraversare il Canale di Tunisi per arrivare a Lampedusa.
Eritrei
L’Eritrea è uno degli Stati più poveri al mondo ed è sottoposta dal 1993 a un duro regime dittatoriale. Di fronte alla mancanza di libertà, circa il 12% degli eritrei è scappato dal Paese. Una delle principali ragioni che spingono alla fuga è il servizio militare a tempo indeterminato che può durare anche decenni e spesso equivale a un vero e proprio lavoro forzato. Chi cerca di evitare il servizio militare viene arrestato e detenuto in condizioni disumane, come documenta un rapporto di Amnesty International. I detenuti sono spesso tenuti in celle sotterranee o in container per la navigazione. La stessa sorte tocca a molti di coloro che sono riusciti a fuggire e vengono rimandati in Eritrea dopo che la loro domanda d’asilo è stata respinta. Nonostante questo si sappia, sempre più spesso gli Stati europei rifiutano le richieste d’asilo degli eritrei.
Sudanesi
Sono poco più di 1.400 i sudanesi sbarcati in Italia nei primi sei mesi del 2018 e circa il 60% delle domande di protezione internazionale da loro presentate nel 2016 ha avuto esito positivo a causa della difficile situazione nel loro Paese. A Darfur, a causa di una guerra civile iniziata nel 2003 e tuttora in corso, sono più di 2,7 milioni gli sfollati, centinaia di migliaia dei quali sono profughi in Ciad. La violazione dei diritti umani – denuncia Human Rights Watch – continua ad essere orribile con continui attacchi ai civili e a i media indipendenti; detenzioni arbitrarie, torture e omicidi sommari di attivisti, studenti e manifestanti sono all’ordine del giorno. Inoltre in Sudan circa il 15% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno e 48 bambini su 1000 muoiono prima di aver compiuto 5 anni.
Nigeriani
A causa del gruppo terrorista Boko Haram, centinaia di migliaia di persone sono fuggite dalla Nigeria. Secondo uno studio di Nrc (Norwegian Refugee Council), nel 2017 erano 1,7 milioni gli sfollati e 200.000 i nigeriani che vivevano come rifugiati nei Paesi vicini. Dal 2009, in Nigeria hanno perso la vita ventimila persone per mano di questa organizzazione terroristica e tantissime case, scuole e strutture sanitarie sono state distrutte. In nome della lotta al terrorismo, inoltre, il governo nigeriano si è si è reso colpevole di gravi violazioni dei diritti umani. Infine gli scontri per la terra tra pastori nomadi e contadini hanno causato migliaia di vittime nel centro del Paese negli ultimi decenni.
Chi fugge da questi paesi e da tanti altri è purtoppo costretto a passare dalla Libia, dove subisce le più gravi vessazioni: torture, stupri, violenze e riduzione in schiavitù.
E dall’inferno libico si vuole solo fuggire, anche mettendo a rischio la propria vita su un barcone.
Ma ricordiamoci che tutto questo dipende essenzialmente dalla chiusura di ogni canale di ingresso legale in Europa: chi parte dal proprio paese, a causa della guerra, della miseria, della mancanza di libertà, non ha altra scelta, deve necessariamente passare per la Libia e poi rischiare la vita nel Mediterraneo.
Noi europei non possiamo certo far finta di niente e scaricare tutte le responsabilità sui banditi libici e sugli scafisti.