Intervista al padre di uno dei detenuti

Traduzione e trascrizione dell'intervista

«Mi chiamo Francisco Huallanca Mamani e vengo dalla comunità di Cuyo Grande, nel distretto di Pisaq, provincia di Calca, regione di Cusco. Sono il padre di uno dei quattro giovani incarcerati per motivi politici: mio figlio Joel David Huallanca Huamán è in prigione da due anni nel carcere di Qenqoro, detenuto per aver partecipato alle proteste contro il governo di Dina Boluarte. Lui e gli altri tre ragazzi non hanno commesso crimini, non sono terroristi né delinquenti, stavano solo difendendo i diritti della loro comunità e protestando contro la privatizzazione delle nostre risorse.

«Mio figlio è stato arrestato il 31 gennaio 2023 mentre veniva intervistato dai giornalisti vicino alla piazza Garcilaso. Poliziotti in borghese lo hanno catturato senza motivo, portandolo prima alla stazione di polizia di Tío, poi a quella di Santiago, e infine al tribunale, dove è stato deciso il suo trasferimento in carcere con la scusa del "rischio di fuga", solo perché non ha un domicilio fisso ma vive in una comunità rurale.

«Da allora, sono passati due anni e questi giovani continuano a essere detenuti ingiustamente, mentre i veri responsabili della repressione e delle uccisioni durante le proteste non sono mai stati puniti. Abbiamo presentato diversi documenti per chiedere l’amnistia, abbiamo parlato con parlamentari e abbiamo cercato di far riconoscere che i ragazzi fanno parte di una comunità indigena con radici e legami profondi. Ma la giustizia non ci ascolta, anzi, ci tratta con razzismo.

«I giudici ignorano che Cuyo Grande è una comunità indigena riconosciuta ufficialmente, eppure non considerano queste prove. La giudice che ha emesso la sentenza, Ana Gabriela, non ha preso in considerazione i documenti presentati. Questo dimostra che le decisioni sono politiche e discriminatorie.

«Per liberare i ragazzi, il tribunale ha imposto un risarcimento civile di 75.000 soles (circa 18.000 euro). Grazie alla solidarietà della gente, siamo riusciti a raccogliere quasi tutta la somma, ma mancano ancora alcuni soldi. Chiediamo a tutte le persone, in Perù e all’estero, di aiutarci con un contributo per completare la somma e garantire la loro libertà (…)

Questa non è solo la loro lotta, è la lotta di tutti noi per la giustizia e la libertà».


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