In Italia l’impatto del cambiamento climatico si sta facendo sentire. Secondo un report ISTAT pubblicato nel 2022 e facente riferimento a dati aggiornati nel 2020, “…nei capoluoghi di regione la temperatura media annua segna un’anomalia di +1,2°C sul valore climatico 1971-2000”. Anche i giorni e le notti estremamente caldi aumentano in frequenza, con una media di +18 notti tropicali all’anno (cioè le notti in cui la temperatura non scende mai al di sotto dei 20°C). Inoltre, la precipitazione totale di pioggia “…scende in media di 132 mm sul corrispondente valore del periodo 2006-2015”, dato che indica una maggiore siccità del clima italiano. In questo articolo faremo un approfondimento sulla crisi climatica in Italia, osservando chi contribuisce maggiormente all’inquinamento e alla produzione di gas serra e quali siano le rivendicazioni dellə attivistə, ma anche i maggiori ostacoli alla loro attività.
1. I maggiori emissori di gas serra in Italia
Secondo il rapporto ISPRA pubblicato nel 2023 che riunisce i dati riguardanti le emissioni prodotte in Italia fra il 1990 e il 2021, i settori che producono più gas climalteranti in Italia sono, nell’ordine: il settore dell’energia, quello dell’agricoltura e dell’allevamento e quello dell’industria. Quarto il settore dello smaltimento dei rifiuti. In tutto, il settore dell’energia produce il 79.7% di tutti i gas climalteranti prodotti in Italia e il 95.3% di tutta la CO2. In questo settore sono incluse le emissioni generate dai trasporti, quelle prodotte dall’energia usata nelle abitazioni e nelle industrie manifatturiere, oltre alle emissioni generate dall’industria dell’energia in sé. Sempre secondo ISPRA, il notevole peso in termini di emissioni prodotto dal settore del traffico è imputabile per il 92.9% al traffico su strada, “che oltre ad aver registrato negli anni una notevole espansione, è tuttora caratterizzato da veicoli ad alimentazione tradizionale, fondamentalmente benzina e gasolio” (2023: 29).
Agricoltura e allevamento rappresentano il 7,8% delle emissioni totali emesse sempre nel 2021 e sono invece responsabili della produzione del 45.1% delle emissioni di gas metano.
Dato il peso che ha il comparto della produzione di energia nelle emissioni prodotte annualmente – nel 2021 rappresentava il 24.7% delle emissioni di gas climalteranti totali (ISPRA emissioni 2023: 29) – vale la pena riportare qualche dato riguardo all’origine dell’energia prodotta in Italia, per capire come mai i valori delle emissioni siano così alti. Il settore delle rinnovabili ha soddisfatto nel 2022 il 30.5% del consumo di energia in Italia, con un calo rispetto all’anno precedente dovuto dal minore impatto dell’idroelettrico, dovuto secondo Terna “al lungo periodo di siccità”. Questo dato ci ricorda come le ripercussioni della crisi climatica siano sempre ramificate.
La fonte più usata per produrre energia in Italia è il gas. Il gas è un combustibile fossile la cui trasformazione in energia e il cui trasporto comportano alti livelli di emissioni, come abbiamo detto in un articolo precedente [2]. Secondo dati forniti da TERNA, nel 2022 la “fonte termoelettrica non rinnovabile” ha rappresentato il 63,9% del totale dell’energia elettrica prodotta in Italia (283,9 TWh). All’interno di questo 63,9%, la parte principale la gioca appunto il gas naturale, “che continua a coprire il 71,0% della produzione termoelettrica con 141,4 TWh”. Nonostante il peso in termine di emissioni che comporta utilizzare il gas per produrre energia, in Italia si progetta di costruire nuove centrali a gas o di riconvertire vecchie centrali a carbone in centrali a gas (sta accadendo in Sardegna), come riporta Recommon, facendo notare che “…le nuove centrali a gas produrranno sia le emissioni di CO2 derivanti dalla combustione del gas fossile sia le emissioni di metano lungo la catena di approvvigionamento del gas, che sono 86 volte più dannose della CO2 in un periodo di 20 anni” ("Le nuove centrali elettriche a gas una minaccia per il clima" – ReCommon). Nello stesso articolo ReCommon ricorda che la combustione di gas fossile rappresenta dimostrabilmente un danno per la salute umana.
Il settore dell’energia e in particolare del gas è anche al centro di alcune delle azioni del governo italiano in politica estera. L’Italia ha più volte provato a posizionarsi fra le altre nazioni dell’Unione Europea come luogo cardine per l’importazione di energia dal Nordafrica. Ad esempio, ENI e SNAM operano in Tunisia, dove, secondo Altreconomia e ReCommon, l’interesse principale è rappresentato dal passaggio del gasdotto Transmed, che trasporta il gas dall’Algeria, diventato il primo fornitore di gas italiano dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Meloni ha spesso partecipato a incontri con il presidente tunisino Kais Saied – rimandiamo agli articoli di questa serie sulla Tunisia per un approfondimento sul suo operato e sullo stato della democrazia nel paese. Spesso Meloni nei suoi discorsi affronta il tema dell’energia assieme a quello delle migrazioni, chiedendo una gestione condivisa di questi temi volta a bloccare le persone che vogliono raggiungere l’Italia. Di nuovo, rimandiamo all’articolo di questa serie sulla Tunisia.
Notizia recente è il viaggio di Giorgia Meloni in Congo e Mozambico, dove ENI punta alle concessioni per l’estrazione del gas. Diversi osservatori hanno fatto notare che solo una parte irrisoria della ricchezza delle multinazionali degli idrocarburi finirà nelle casse del Mozambico, a causa di accordi iniqui – questo oltre al fatto che l’investimento nel fossile è comunque l’altra faccia della scelta di non investire nelle rinnovabili in Africa come in Italia e in Europa. Il governo ha più volte parlato riferendosi a queste iniziative di “Piano Mattei per l’Africa”, ma, secondo ReCommon, non è chiaro quali benefici dovrebbero portare queste misure a chi vive nel continente africano.
Il governo Meloni sta lavorando anche per l’ultimazione del gasdotto SoutH2, che dovrebbe collegare Nord Africa e Germania. La costruzione stessa dei gasdotti ha un impatto ambientale sui territori: il sito dedicato a SouthH2 rivendica che userà “> 70%” infrastrutture già esistenti, una percentuale che suggerisce che si riservi di costruirne di nuove ove necessario. In Italia hanno fatto notizia negli ultimi anni le inchieste sul gasdotto TAP in Puglia, volte a far luce su potenziali violazioni delle valutazioni di impatto ambientale e su altri danni causati all’ambiente durante la costruzione dell’opera. Il processo è tutt’ora in corso (aprile 2024).
Per quanto riguarda la dipendenza dalla Russia, per restare nel quadro della politica estera italiana ed europea dato che l’UE ha molto insistito sulla necessità di non essere più dipendente energeticamente dalla Confederazione, riguardo al gasdotto TAP ReCommon fa notare che l’Azerbaijan ha da sempre ottimi rapporti con la Russia e che a tutt’oggi non si sa se il gas che arriva in Italia proprio da quel paese del Caucaso sia in parte sempre proveniente dalla Russia. Nelle carceri dell'Azerbaijian si trovano comunque diversi prigionieri politici. Il quotidiano Domani riporta come il gas azero dovrebbe passare anche per un gasdotto di nuova costruzione, il Melita Gas Pipeline, che in Italia dovrebbe passare per Gela (inizialmente dovrebbe essere usato per vendere a Malta gas metano proprio dalla Sicilia e solo in seguito essere utilizzato per l’idrogeno). Questo progetto ha già invitato molto scetticismo – per esempio, nonostante le rassicurazioni sul fatto che sarà usato per “idrogeno verde”, non si sa ancora di fatto quale sarà l’origine del gas. Questa opera e in particolare il rapporto fra governi e aziende nella sua costruzione era oggetto delle indagini della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia prima che venisse uccisa. Una delle aziende su cui Caruana Galizia stava investigando è l’azienda di stato azera Socar, cui, assieme ad ENI e ad altre 4 compagnie, a fine ottobre 2023 Israele ha concesso delle licenze di esplorazione relativi ai giacimenti di materiale fossile in mare. Come riporta Recommon, anche SNAM ha interessi nel paese. Sono accordi che hanno un’influenza sulla politica degli stati. La strada del gas è del resto un punto fisso anche delle strategie dell’Unione Europea, che nella strategia RePowerEu, parte del cosidetto “Green Deal Europeo”, parla del gas come imprescindibile per l’indipendenza energetica dell’Unione e dichiara la volontà di diversificarne l’origine, nell’ottica di dipendere meno dal gas russo, stringendo accordi con paesi come Namibia, Egitto, Kazakhstan e Israele. Sempre nella pubblicazione “L’illusione dell’idrogeno verde”, ReCommon parla riferendosi a RePowerEu di “colonialismo energetico dell’UE”.
2. Oltre le emissioni: altre attività che danneggiano l’ambiente in Italia
L’ambiente in Italia è danneggiato anche da pratiche e politiche nocive, che vanno dagli sversamenti industriali alla cementificazione. Il consumo di suolo è uno di questi elementi. Il rapporto ISPRA “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici – edizione 2023” definisce il consumo di suolo come “la variazione da una copertura non artificiale (suolo non consumato) a una copertura artificiale del suolo (suolo consumato), distinguendo il consumo di suolo permanente (dovuto a una copertura artificiale permanente) e il consumo di suolo reversibile (dovuto a una copertura artificiale reversibile)” (9). Alcune di queste coperture artificiali del terreno, specialmente l’asfalto e il calcestruzzo, e quindi quei materiali che servono per costruire strade e edifici, portano a una impermeabilizzazione del suolo, cioè alla sua minore capacità di assorbire acqua. Una problematica collegata è quella del degrado del suolo, cioè “… il fenomeno di alterazione delle condizioni del suolo dovuto alla riduzione o alla perdita di produttività biologica o economica a causa principalmente dell’attività dell’uomo (Oldeman et al., 1991). (ISPRA 2023: 10).
Oltre a provocare danni alla biodiversità, questi fenomeni interagiscono con la crisi climatica in diversi modi. Una zona più cementificata e con meno verde, ad esempio, tende a essere più calda. Un suolo meno permeabile rende più difficile l’assorbimento dell’acqua in caso di pioggia; inoltre, un suolo degradato potrebbe assorbire meno CO2. Anche per questo che è inquietante che il rapporto ISPRA segnali che il consumo di suolo in Italia sta aumentando velocemente:
Nell’ultimo anno, le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 76,8 km2, il 10,2% in più del 2021. Si tratta, in media, di più di 21 ettari al giorno, il valore più elevato degli ultimi 11 anni, in cui non si erano mai superati i 20 ettari (…). [Il consumo di suolo netto] negli ultimi dodici mesi, è invece risultato pari a 70,8 km2 (19,4 ettari al giorno, 2,2 m2/sec), di cui 14,8 km2 di consumo permanente. A quest’ultimo valori vanno aggiunti altri 7,5 km2 passati, nell’ultimo anno, da suolo consumato reversibile (rilevato nel 2021) a permanente, portando nell’ultimo anno a una crescita complessiva dell’impermeabilizzazione di 22,3 km2. (ISPRA 2023: 18)
ISPRA sostiene che l’obiettivo da perseguire sia un consumo di suolo netto pari a zero, cioè che ove ci sia necessità di costruire qualcosa questo si faccia su superfici già occupate, senza consumarne di nuove.
L’inquinamento di acque e territori è un altro dei problemi che riguardano l’ambiente in Italia. Spesso questi problemi sono dovuti a sversamenti di materiale industriale nel suolo o nel mare. L’edizione del 2023 del report di Legambiente “Mare Monstrum” indica che i reati ambientali riguardanti il mare “… sono stati 19.530, con un incremento del +3,2% rispetto al 2021, mentre gli illeciti amministrativi (44.444) sono cresciuti del 13,1%.”. Nello stesso report, leggiamo che è l’industria edile a essere responsabile di più della metà di queste infrazioni, seguito da fenomeni illegali di smaltimento dei rifiuti e dalla pesca di frodo.
Per quanto riguarda il suolo, gli sversamenti industriali hanno più volte danneggiato l’ambiente italiano negli ultimi anni. Un caso recente è quello dello smaltimento dei residui dell’industria delle pelli in Toscana, per cui si ipotizza che dei rifiuti chimici potenzialmente dannosi per la salute siano stati illecitamente riversati nell’ambiente circostante. Domani, che si è occupato spesso di questo caso, riporta che in alcune di queste zone, come Bucine nell’aretino, sono state trovate tracce di arsenico nel terreno. Attualmente la procura ipotizza che la ‘ndrangheta si sia infiltrata appunto nelle operazioni di smaltimento illegale di questi materiali. Per questi fatti sono indagate anche personalità politiche della Valdarno. Altri casi particolarmente gravi per l’entità del danno hanno riguardato l’inquinamento prodotto dalle acciaierie ILVA di Taranto e dallo smaltimento illegale dei rifiuti in Campania, nella Terra dei Fuochi, tristemente noti per i danni alla salute delle popolazioni che abitano i territori, particolarmente colpite da tumori e mesoteliomi. Ma la mappa ISPRA dei siti contaminati da bonificare mostra come siano centinaia in Italia i luoghi interessati da inquinamento industriale.
Anche l’industria dell’energia è nota per il potenziale di inquinamento e danneggiamento dei territori e della salute delle persone che ci vivono. Per esempio, in Val d’Agri, Basilicata, vicino allo stabilimento ENI Tempa Rossa e al Centro Oli di Viggiano. ReCommon riporta che
… i due paesi più vicini al Centro Oli hanno un’incidenza di tumori e malattie respiratorie superiori alla media regionale. In base ai dati, si comprenderebbe l’associazione di rischio tra le emissioni del COVA(Centro Oli Val d’Agri) e le patologie cardiovascolari e respiratorie, con un aumento del 19% della mortalità delle donne per tutte le cause e del 15% di donne e uomini di Viggiano e Grumento rispetto a quelli degli altri 20 comuni della Val d’Agri. Analogamente è stato registrato un incremento dei ricoveri ospedalieri per malattie circolatorie del 41% e del 48% per malattie respiratorie.
Per la gestione dell’impianto di Tempa Rossa ENI è stata condannata in primo grado per disastro ambientale, ricevendo una sanzione di 700 mila euro e confische per 44,2 milioni per traffico illecito di rifiuti, per lo smaltimento dei residui dell’attività di estrazione. Il processo ai manager ENI per lo sversamento di 400 tonnellate di petrolio presso il Centro Oli di Viggiano nel 2017 si sta correntemente tenendo.
3. L’attivismo e gli ostacoli sulla sua strada
La quasi interezza dei report citati in questo articolo è prodotta da associazioni portate avanti in gran parte da attivisti e volontari, come Legambiente, ReCommon, Greenpeace. Questo rende manifesta una delle azioni svolte dallə attivistə in Italia: un’opera di monitoraggio, raccolta di dati, informazione e elaborazione di proposte per contrastare il cambiamento climatico. Altre associazioni sul territorio si oppongono all’inquinamento dei territori e alle costruzioni di grandi opere che danneggiano l’ambiente, per esempio gasdotti e basi militari, come il movimento no TAP e quello no MUOS, e portano nelle piazze e nelle scuole i temi della difesa dell’ambiente e della necessità di cambiare il modo in cui ricaviamo e usiamo energia, un lavoro portato avanti da associazioni sul territorio e/o di livello nazionale come Legambiente.
Recentemente hanno avuto grande spazio sui mezzi di comunicazione le attività dellə attivistə del gruppo di Ultima Generazione, che implementano azioni talvolta spettacolari, come incollarsi ai monumenti o lanciare vernice su edifici storici e opere d’arte. Sono gesti che mirano a catturare l’attenzione di tuttə, per cercare di rappresentare la gravità del momento che stiamo vivendo e l’urgenza delle azioni da intraprendere. Per contrastare queste forme di attivismo sia l’Italia che altri paesi si stanno dotando di legislazioni ad hoc. In Italia, nel gennaio 2024 è diventato legge il cosidetto ddl Eco-vandali, che sanziona “la distruzione o il deturpamento di beni culturali o paesaggistici” e che, come denuncia Amnesty, mira a ridurre la capacità di azione dellə attivistə climaticə. Aver nominato Amnesty rende possibile focalizzarci su un altro importante ruolo svolto da associazioni e ONG: quello di fornire assistenza e protezione allə attivistə, vittime di repressione legale ma, in diverse zone del mondo, anche di violenza commissionata da stati e/o aziende, oltre a subire forme vessatorie come il licenziamento e l’emarginazione sociale nel caso si tratti di proteste intraprese da operai e familiari delle industrie inquinanti.
Secondo Legambiente, la transizione energetica in Italia è ostacolata anche da fattori “normativi, burocratici e culturali”. Lo si afferma nel report pubblicato nel 2023 “Scacco matto alle rinnovabili!”, in cui Legambiente lamenta la frammentazione delle norme che regolano la valutazione di impatto ambientale e il “via libera” a costruire impianti per le energie sostenibili, ad esempio impianti eolici off shore, e chiede la creazione di un testo unico nazionale con una cabina di regia nazionale, nonché di accorgimenti come la creazione di una lista di aree idonee alla costruzione di tali impianti che preesista alle richieste di costruzione, in modo da accorciare i tempi di verifica.
Per quanto riguarda gli ostacoli per lə attivistə nell’ottenere e diffondere informazioni rispetto a quanto avviene nell’industria dell’energia, se il metodo dell’azionariato critico, che consiste nell’acquistare alcune azioni di aziende per poter partecipare alle assemblee dellə azionistə, era abbastanza efficace prima della pandemia, Recommon racconta come dopo il COVID queste aziende abbiano continuato a sostenere la necessità, nata invocando le misure anticontagio, di svolgere le assemblee dellə azionistə a porte chiuse.
Le accuse di cittadinə e attivistə verso i grandi inquinatori possono talvolta risultare nell’adozione delle vie legali. La climate litigation è un’azione legale “… avviat[a] con lo scopo di imporre a governi o aziende il rispetto di determinati standard in materia di limitazione del riscaldamento globale” (Una giusta causa per il pianeta! – ReCommon) In Italia, ReCommon e Legambiente ne hanno intentata una contro ENI, basata sulla premessa che “[l]e condotte che causano il cambiamento climatico, violano diritti umani tutelati e protetti sia dalla Costituzione italiana sia, attraverso quest’ultima, da norme internazionali e accordi vincolanti per gli Stati e per le aziende” [ibidem].
4. Migrazioni climatiche interne anche in Italia?
Come abbiamo visto in un articolo precedente, molte delle migrazioni climatiche avvengono internamente ai confini nazionali. Possiamo parlare di migrazioni climatiche interne anche in Italia? dei dati del “Global Report on Internal Displacement” 2023 del International Displacement Monitoring Center attestano che anche in Europa Occidentale, Italia compresa, ci sono persone che sono state displaced, cioè sfollate, a seguito di eventi climatici estremi che hanno colpito territori idrogeologicamente fragili. Pensiamo alle persone sfollate in seguito alle alluvioni in Emilia Romagna questo autunno. Tuttavia, a oggi il fenomeno delle migrazioni causate dal cambiamento del clima sembra non riguardare l’Italia come area di partenza. Uno studio è quello sviluppato dal gruppo di ricerca MICLIMI, Migrazioni Climatiche e Mobilità interna nella valle metromontana del PO. Soffermandosi su Lombardia e Piemonte, il rapporto ipotizza che “… le aree montane vicino alle grandi città potrebbero beneficiare di una migrazione in entrata a causa dei cambiamenti climatici in corso” (p. 22), analizzando appunto gli spostamenti fra Torino e Milano e le aree di montagna più facilmente raggiungibili dalle città. Il report riconosce che questi movimenti sono provocati anche da altri fattori sociali, economici e culturali, ma ipotizza, pur riconoscendo il carattere preliminare e parziale della ricerca, che il cambiamento climatico potrebbe essere una concausa di questo tipo di spostamenti, dato che le aree metropolitane sono particolarmente colpite dal riscaldamento dell’atmosfera. Ma questa è un’area su cui esistono ancora pochi studi.
5. Inquinamento dell’esercito in Italia
MilEx, osservatorio sulle spese militari in Italia, riporta che nella previsione di spesa per il biennio 2023-2025 presentata dalla Difesa al parlamento nell’autunno 2023 si nota un aumento delle spese militari, causato dall’incremento dell’acquisto di armi e mezzi. Armi e mezzi militari producono, esattamente come gli altri mezzi alimentati allo stesso modo, gas climalteranti. Ricostruire esattamente quanti gas climalteranti producano gli eserciti non è facile, perché non ci sono accordi che obblighino gli stati a dichiarare tutti i dati relativi appunto alle emissioni. Futura D’Aprile su Domani e Gianluca Cedolin per L’Essenziale hanno dedicato due articoli a questo tema (2021; 2023). In sostanza, si ritiene che gli eserciti producano fra l’1 e il 5% di gas serra nel mondo – un margine di incertezza la cui ampiezza rende chiara la scarsa trasparenza delle informazioni a riguardo. Le fonti citate da D’Aprile e Cedolin, associazioni e osservatori quali MilEx e The Military Emissions Gap, cercano di ricostruire l’impatto dell’esercito italiano a partire dalla lista dei mezzi e dal tipo di carburante che impiegano, ma è chiaro che una stima calcolata solo sui mezzi non può che essere una stima al ribasso. In particolare, The Military Emissions Gap riporta “una significativa lacuna” da parte dell’esercito nel riportare questi dati, che sono qualificati come di “povera accessibilità”.
Oltre all’emissione di sostanze, la guerra e le esercitazioni di carattere militare, oltreché lo stoccaggio delle armi, hanno documentati effetti nocivi per i territori e per la salute delle popolazioni che li abitano. In Italia ci sono diversi poligoni di tiro dell’esercito costruiti all’interno di parchi naturali, come i tre impianti che si trovano nel parco dell’Alta Murgia in Puglia, oggetto di contestazione da parte di associazioni ambientaliste locali. In altri luoghi sono state trovate tracce di materiali tossici usati per gli armamenti negli ambienti circostanti, come arsenico, PCB e mercurio (come nel mare vicino agli arsenali di Taranto) e torio (ad esempio nel poligono di Cellina Meduna). Sempre per il torio particolarmente grave è stato il caso del poligono di Salto di Quirra in Sardegna, in cui venivano fatti esplodere missili al torio. Nel 2021 otto militari accusati di non aver interdetto ai civili le zone contaminate sono state assolte per la non sussistenza del fatto, nonostante esistano studi condotti sul territorio ed esami svolti sulla popolazione che attestano la contaminazione da torio e cerio. Anche i soldati naturalmente riportano danni derivanti dall’esposizione a questi elementi, come ha denunciato una commissione parlamentare di inchiesta. Altro tipo di danni sono quegli causati agli ecosistemi e alla fauna.
Nonostante i ricorrenti problemi di impatto ambientale delle strutture militari il governo progetta di costruirne altre, come quella di Coltano a Pisa, sempre all’interno di un parco naturale, e a La Spezia in cui con il progetto Basi Blu si mira a espandere la base della marina militare, operazioni contestate in entrambi i territori da associazioni di cittadinǝ e ambientalistǝ.
Giulia Bigongiari
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