Secondo molti esperti di diritto, il decreto del governo che impone una serie di obblighi alle navi delle ONG (il cosiddetto decreto Piantedosi, dal nome dell'attuale ministro dell'Interno), è incostituzionale e non rispondente al diritto internazionale, per cui non andrebbe convertito in legge. 3 sono gli aspetti principali che vengono messi in discussione.
Il primo aspetto del decreto che viene messo in discussione è quello relativo all'obbligo, da parte dei capitani delle navi che fanno salvataggio in mare, di informare i naufraghi sul diritto di asilo e di raccoglierne le domande. E questo vale soprattutto se si tratta di navi straniere che navigano in acque internazionali, in quanto lo stato italiano non ha alcuna giurisdizione su di esse. Detto più semplicemente, non si possono imporre degli obblighi al capitano della nave di un altro paese che non agisce nelle acque territoriali italiane.
Il secondo aspetto contestato è il divieto di effettuare, da parte delle navi umanitarie, più soccorsi nell'ambito della stessa missione. Secondo il governo, una nave che ha effettuato un soccorso deve dirigersi direttamente verso il porto assegnato, anche se riceve ulteriori richieste di aiuto da parte di altri "barconi". Ma questo significa rendere obbligatoria, da parte dello stato, l'omissione di soccorso, contravvenendo il diritto internazionale, le più elementari leggi naturali e principi umanitari basilari.
Questo obbligo viene imposto solo alle navi delle ONG e non certo alle navi della Marina o della Guardia costiera; l'obiettivo è chiaramente quello di ostacolare quanto più possibile l'attività delle organizzazioni umanitarie, anche se questo può comportare la morte in mare di centinaia di persone.
Alla base di tutto c'è la convinzione, spesso apertamente dichiarata, che le ONG sono in combutta con i trafficanti, cosa che non si è mai riusciti a provare, in nessuno dei processi che hanno visto alla sbarra i loro responsabili, sempre regolarmente assolti. Quasi tutte le ONG, da Medici Senza Frontiere ad Emergency, da SeaWatch a Open Arms, hanno dichiarato che non sono disposte ad obbedire all'obbligo di non effettuare soccorsi multipli, considerando l'obbligo di salvare vite umane superiore a qualsiasi legge di qualsiasi stato.
Il terzo aspetto contestato è il ricorso allo strumento del decreto-legge, dato che non si riscontrano, in questo caso, i requisiti di necessità ed urgenza previsti dalla Costituzione.
Anche da parte della Conferenza Episcopale Italiana è arrivata una dura condanna all'operato del governo. Monsignor Perego, presidente della Commissione per le migrazioni della CEI, ha giustamente sottolineato che la lotta al traffico di esseri umani non si fa contrastando l'operato delle ONG, ma semmai non rinnovando il memorandum con la Libia, che prevede l'addestramento e il sostegno economico di una guardia costiera libica dentro la quale operano molti trafficanti (leggi qui per sapere di più sul memorandum).
Che lo scopo del governo sia quello di contrastare in tutti i modi l'operato delle navi umanitarie lo dimostra anche la prassi recente di assegnare sì un porto (in quanto si è finalmente capito che non è possibile non farlo, in quanto prima o poi arriva un magistrato ad imporlo) ma sempre più lontano, a Ravenna, a Livorno o ad Ancona. In questo modo si rendono sempre più onerose da un punto di vista economico le operazioni di salvataggio e si ritarda il ritorno delle navi in alto mare per salvare nuove vite.
Poco importa che alle sofferenze già subite dai migranti si aggiunga anche quella di un viaggio molto più lungo.