Quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo sulla mia esperienza come servizio civilista ho pensato: “E ora da dove parto? Da quali progetti abbiamo fatto? Oppure da come funziona l’Associazione?”. Alla fine ho deciso che di quello si può leggere sul sito dell’Associazione e quindi ho preferito partire invece da me stessa, da cosa ho percepito e da cosa ho imparato in questi sei mesi…
La strada per arrivare è lunga: 40 minuti di macchina la mattina, il traffico, la gente che suona il clacson in continuazione, che corre ovunque per chissà dove.
Sembra non terminare: abbandonare la campagna e avvicinarsi sempre più verso la città.
Il caffè non basta mai, soprattutto alle sette del mattino.
Immaginare per tutto il tragitto come sarà, chi mi troverò davanti. Come sarà la ragazza con cui trascorrerò 30 ore della mia settimana? Cosa mi faranno fare? Inizierò da subito a litigare con qualcuna/o?
La sede l’ho già vista al colloquio, ripercorro l’ordine dei mobili, i quadrati sul pavimento, le immagini sul muro. Non mi ero davvero mai chiesta cosa volesse dire iniziare un percorso del genere nella mia vita, perché lo facessi davvero.
Bene adesso quella strada, i quaranta minuti per arrivare (soprattutto i minuti di ritardo ogni mattina!) sono un po’ quella sensazione di casa che non avevo immaginato sarebbe stata possibile.
Ma sapete, non “casa” nel senso di rifugio, famiglia, dopotutto da femminista l’idea di famiglia è sempre stata un po’ stretta. No, no, proprio quel luogo che impari ad amare con calma giorno dopo giorno, conoscendolo e costruendolo quotidianamente. Un affetto sincero che deriva dal conoscere pienamente potenzialità, forze, limiti e difetti di quel luogo e di quel gruppo. Nella costruzione costante di una possibilità, trovare compagne e compagni di cammino.
La bellezza dell’Associazione El Comedor Giordano Liva l’ho vista proprio in quel punto di incontro tra le difficoltà e i tentativi collettivi di immaginare qualcosa di nuovo. Nella vulnerabilità di un’associazione che prova a muoversi in un modo in cui i valori della sorellanza, dell’aiuto, della solidarietà sono sempre stati da un lato ostacolati o, dall’altro, privati del carattere rivoluzionario del cambiamento ma resi semplice umanitarismo spicciolo. Ho scoperto che El Comedor non è né l’una né l’altra cosa: ma è amore costante per un’idea di società diversa che si basa sul reciproco scambio e sul dialogo continuo che cerca di trovare sempre nuove forme e nuovi strumenti di analisi e di azione. A partire dalla fiducia che viene riposta nel progetto in Perù e in chi quel posto, quella scuola, Institución Educativa Particular Giordano Liva, la vive ogni giorno. Nelle difficoltà di portare avanti un progetto tanto grande come quello in Nepal, nel rispetto dell’autonomia e dei bisogni concreti di chi attraversa la Uttargaya Public English Secondary School. Nella passione della Scuola di Italiano per Migranti, in cui imparare l’italiano diventa un mezzo di emancipazione e insegnarlo diventa invece un modo per conoscere. Nell’organizzazione di Solidarista, in cui mettersi in gioco, tentare, ci hanno portato a superare tutte le difficoltà burocratiche e non solo, per creare qualcosa in cui credere: una socialità diversa, un momento di condivisione e di bellezza attraversabile da chiunque, senza limiti di età o limiti fisici, essere presenti in città per spostare almeno per un giorno l’asticella della “visibilità” dalla parte di tutte quelle associazioni del territorio che investono tempo e fatica in difesa della terra, delle persone, contro pregiudizi, stereotipi e violenze.
E in questi mesi mi è stato permesso di collaborare a ognuno di questi progetti, in misura differente, in momenti diversi, ma a tutti con la stessa importanza.
Ho imparato davvero cosa voglia dire “progettazione” e “cooperazione” e perché lo si fa; mi sono ritrovata a parlare davanti ai ragazzi dei licei durante i laboratori di migrazione, ambiente e cura e ho scoperto l’importanza di questi momenti per la formazione dell’individuo; ho incrociato le vite di tante ragazzi e ragazzi che frequentano la scuola di italiano portando un pezzettino di loro con me e mettendo sul tavolo mille pezzettini di me stessa; ho odiato gli uffici pubblici e tutti i loro permessi, imparando però ad averci a che fare; ho capito davvero l’importanza di un “like” o di una “condivisione” per sostenere questa comunità, come di uno scherzo e di un balletto in sede per buttare via l’ansia; ho appreso grazie a Valeria, “sorella” e compagna nel cammino del servizio civile, l’importanza della dolcezza e dell’empatia per far fiorire le comunità. E ho tentato di lasciare qualcosa di me e di quello in cui credo in un ambiente tanto ricco come questa Associazione.
Mi sono resa conto con i mesi che si sono susseguiti, alla velocità della luce, che la messa in discussione costante di quello che crediamo essere vero e giusto è un qualcosa che ha accompagnato le persone che ho incontrato su questo cammino, anche se a volte con varie difficoltà. E nel mio cammino ho incontrato collaboratori, amiche e amici, che hanno permesso a me e Valeria di metterci in gioco dandoci fiducia. E nelle difficoltà che questo percorso riserva, nei momenti di paura, di sconforto, avere uno “staff” con cui collaborare al proprio fianco è stato essenziale.
Fare il Servizio Civile, e farlo in un posto come El Comedor, credo che aiuti ognuno a capire quali siano le proprie capacità e competenze e, allo stesso tempo, metterne in luce i limiti che sono parte di noi, per compensarli insieme.
Ci insegna che “non saper fare” vuol dire “tentare”, che “saper fare” vuol dire “ri-impararlo insieme”.
L’idea che sono a metà di questo percorso mi lascia già un po’ di malinconia (anche se dovranno sopportarmi tutte e tutti anche dopo come volontaria), ma quello che ho imparato sarà per sempre nel mio bagaglio per attraversare il mondo e prenderlo di petto e ringrazio El Comedor Estudiantil Giordano Liva per avermi dato questa opportunità.
Perché, si sa, lavorare insieme è meglio che “camminare” da soli: come singoli possiamo fare qualche passo in avanti, ma insieme diventa una danza che fa tremare la terra.