Ancora brutte notizie dal confine tra Bielorussia e Polonia: Medici Senza Frontiere ha comunicato il ritiro dell’equipe di emergenza che aveva inviato nella zona qualche mese fa, a causa del rifiuto, da parte delle autorità polacche, della richiesta di accedere alla zona. Ricordiamo che ancora ad oggi al confine si accalcano centinaia di persone che necessitano di immediate cure sanitarie e di assistenza umanitaria.
Dichiara Frauke Ossig, coordinatrice dell’intervento di emergenza di Medici Senza Frontiere in Polonia e Lituania: «Da ottobre chiediamo ripetutamente l’accesso all’area senza successo […]. Sappiamo che ci sono ancora persone che hanno bisogno di aiuto nascoste nella foresta, ma nonostante il nostro impegno e volontà nell’assisterle, non siamo in grado di poterlo fare sul fronte polacco».
Negli ultimi sei mesi, la polizia che controlla la frontiera ha respinto con la forza migranti e rifugiati in Bielorussia, violando così il loro diritto, riconosciuto dalle normative internazionali, di richiedere l’asilo, e il governo ha lasciato i profughi senza acqua, senza cibo e senza vestiario; almeno 21 persone sono già morte.
A quanto hanno dichiarato gli operatori di Medici Senza Frontiere, molte persone hanno anche subito furti e sono state intimidite o hanno subito violenza intenzionale su entrambi i lati del confine. Ne sono testimonianza le lesioni fisiche che il team ha riscontrato sui corpi delle poche persone che è riuscita ad incontrare.
…E intanto l’Europa sta a guardare, senza sentirsi in dovere di sanzionare le autorità polacche. Quella stessa Europa che alcuni anni fa ha provocato una crisi economica e sociale senza precedenti in Grecia perché i governi di quello stato non avevano rispettato i limiti imposti al rapporto deficit/pil.
Questo per dire che, quando si tratta di questioni economiche, l’Europa sa agire e come; se si tratta di diritti umani, sa solo tacere.
Nel frattempo, nel Mediterraneo, non solo l’attività di soccorso e salvataggio delle navi umanitarie continua ad essere ostacolata, ricorrendo a mille cavilli burocratici, ma l’Italia, in estrema segretezza, invia a Tripoli una nave militare per una missione molto particolare: consegnare al governo libico una centrale mobile per il coordinamento del soccorso in mare, ovvero una serie di container con terminali informatici ed equipaggiamenti radio, che dovranno servire a potenziare le attività della guardia costiera per il controllo dell’immigrazione “clandestina”.
Il costo della centrale, finanziata dalla Unione europea, si aggira intorno ai 15 milioni di euro. All’Italia toccherà il compito di formare e assistere il personale libico. Questa operazione è l’inizio di un rilancio delle relazione tra il governo di Tripoli e l’Unione Europea, interessata, tra l’altro, a contrastare l’espansionismo turco nella zona. Ancora una volta l’Europa e l’Italia fanno finta di non sapere di cosa sono accusati gli uomini della Guardia costiera libica, non solo da parte delle organizzazioni non governative, ma anche dall’Onu: trattamento disumano dei migranti bloccati in mare e collusione con i trafficanti di esseri umani.
Ovviamente l’operazione sarà presentata come un intervento indispensabile per migliorare, fornendo una tecnologia all’avanguardia, gli interventi libici in mare, in quanto spesso la guardia costiera non ha risposto alle richieste d’aiuto dei barconi in difficoltà, provocando così naufragi drammatici.
Come vengono trattate le persone al momento del salvataggio (vi sono numerose documentazioni fotografiche che attestano violenze personali pesantissime) e che fine facciano le persone “salvate”, bene, questo è un problema che all’Europa e all’Italia non interessa.
Fonti: Repubblica del 6 e 7 Gennaio 2022.