Guerre, crisi climatica e processi migratori

Le guerre che insanguinano il nostro pianeta non hanno come vittime solo gli esseri umani, ma anche l’acqua, l’aria, il suolo, il mondo vegetale e gli altri animali.

La guerra accelera infatti drasticamente la crisi climatica. Basti pensare all’anidride carbonica immessa nell’atmosfera dagli strumenti bellici (bombe, carrarmati, aerei, ecc.) o alla distruzione di intere città, che poi dovranno essere ricostruite, aumentando ancor di più il consumo di materie prime e di combustibili fossili.

Non ultimo, la guerra si contrappone a qualsiasi progetto di transizione energetica: si pensi a quello che è successo con il Green Deal europeo in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina. Ormai la priorità non è ridurre l’utilizzo di combustibili fossili ma produrre armi, e poco importa se questo comporta rinviare sine die l’abolizione dell’uso di carbone e petrolio.

Se la guerra aggrava la crisi ambientale, a sua volta questa genera l’intensificarsi delle guerre in quanto accelera la gara tra grandi e piccole potenze per accaparrarsi materie prime sempre meno disponibili.

Inoltre, la crisi ambientale, che colpisce in modo più grave i paesi poveri, collocati nella zona tropicale ed equatoriale, dove le condizioni di vita si fanno sempre più difficili, fa aumentare i processi migratori verso i paesi del Nord del mondo che, pur essendo i principali responsabili del disastro ambientale, per il momento ne pagano di meno le conseguenze.

Generalmente le forze politiche che negano la crisi ambientale sono le stesse che si oppongono duramente ai movimenti migratori non cogliendo la contraddittorietà della loro posizione: dietro alla loro fobia dei migranti c’è infatti proprio la percezione che ormai “non c’è più posto per tutti sul pianeta” e che quindi bisogna difendersi da questa massa di “invasori”, tutelando il proprio benessere.

In realtà, effettivamente la crisi climatica e l’inazione dei governi stanno fortemente restringendo lo spazio dove è possibile vivere e quindi dobbiamo prevedere che il numero di persone che cercheranno di spostarsi verso luoghi dove ancora sono garantite le condizioni di sopravvivenza aumenterà sempre più. Sarebbe molto miope sottovalutare il problema, sostenendo che le dimensioni del processo migratorio sono poco rilevanti. Siamo difatti di fronte ad una svolta epocale.

Tuttavia, la soluzione al problema non può essere la guerra (ancora una volta la guerra) ai migranti. L’unica soluzione deve essere l’accoglienza: se tante persone non possono più vivere dove vorrebbero non possono essere respinte.

 Allo stesso tempo, però, occorre riconoscere la gravità della questione ambientale e cercare di correre ai ripari attraverso una completa rimessa in discussione del nostro modo di produrre e di consumare.

Purtroppo, la storia non sembra andare in questa direzione. Questo non deve però portarci alla rassegnazione: occorre continuare a portare avanti esperienze, anche piccole e apparentemente poco significative, di adattamento e mitigazione della crisi climatica e nello stesso tempo promuovere reti di accoglienza dei migranti capaci di valorizzarne la cultura, le capacità e l’iniziativa.