Ancora una strage nel Mediterraneo, avvenuta questa volta al largo del Peloponneso. Si tratta con ogni probabilità di una delle più gravi mai verificatesi finora: sono state salvate un centinaio di persone e recuperati solo 78 corpi ma sull’imbarcazione pare ci fossero 750 persone, che hanno viaggiato per 5 giorni in condizioni disperate.
E ora, come al solito, ci si chiede se è stato fatto tutto il possibile per salvarle. Il Centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano aveva ricevuto martedì 13 una e-mail che indicava un barcone in difficoltà; accertato che l’imbarcazione si trovava nell’area di responsabilità per la ricerca e soccorso in mare greca, ha contattato la Guardia costiera greca.
Anche un aereo dell’agenzia europea Frontex aveva avvistato il peschereccio e successivamente anche due motovedette greche, ma i migranti, secondo le autorità elleniche, avrebbero rifiutato qualsiasi assistenza perché volevano proseguire il viaggio verso l’Italia.
In un comunicato Alarm Phone, l’organizzazione non governativa che si occupa di ricevere le telefonate di soccorso, smentisce invece questa ricostruzione, sostenendo che la Guardia costiera ellenica è intervenuta 12 ore dopo essere stata allertata e che non è vero che i migranti volessero proseguire per l’Italia, una volta viste le condizioni del mare e dell’imbarcazione. Versione confermata anche da alcuni dei sopravvissuti.
Save the Children, Amnesty International, Medici senza Frontiere, Oxfam e tante altre associazioni hanno chiesto un’indagine completa sul naufragio, sul ruolo degli Stati membri dell’Ue e sul coinvolgimento di Frontex, e un sistema di asilo europeo che garantisca alle persone il diritto di chiedere protezione nel pieno rispetto dei loro diritti. Esortano inoltre la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ad assumere una posizione chiara rispetto al cimitero a cielo aperto costituito dalle frontiere terrestri e marittime dell’Europa.
«Per troppi anni – dichiarano – abbiamo ascoltato parole vuote da parte della Commissione europea e degli Stati membri dell’UE, che si sono detti “preoccupati”, “rattristati” e “sgomenti” per la perdita di vite umane senza però agire. Questa volta deve essere diverso. È ora di proteggere finalmente le vite e i diritti delle persone che cercano sicurezza in Europa».
Fonti: Il Fatto Quotidiano del 16 e 17 Giugno