Storie di ordinaria discriminazione


Photo by Priscilla Du Preez on Unsplash

Abbiamo già sottolineato in un precedente articolo come lo straordinario ed eccellente sforzo che l’Europa sta compiendo per accogliere ed integrare milioni di profughi ucraini sia però inquinato da una serie di discriminazioni nei confronti di chi, pur risiedendo in Ucraina, ha una cittadinanza diversa. Approfondiamo oggi questo tema attraverso una serie di esempi concreti di tale discriminazione.

Un’indagine di The Independent in collaborazione con Lighthouse Reports1 ha accertato che molti residenti ucraini di origine africana, che hanno attraversato il confine per sfuggire alla guerra, sono stati rinchiusi in centri per l’immigrazione e alcuni di loro si trovano lì da diverse settimane. E la stessa polizia di frontiera polacca ha confermato che 52 cittadini di paesi terzi fuggiti dall’Ucraina sono attualmente detenuti in tali centri.

Inoltre, come dichiarato dall’OIM (l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), uno studente nigeriano fuggito dall’invasione russa sarebbe stato detenuto in Estonia dopo essersi recato nel Paese per raggiungere i parenti e ora è minacciato di espulsione.

Secondo Maria Arena, presidente della commissione per i diritti umani del parlamento europeo, «Gli studenti internazionali in Ucraina, così come gli ucraini, sono a rischio e rischiano la vita nel Paese. La detenzione, l’espulsione o qualsiasi altra misura che non garantisca la loro protezione non è accettabile».

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i  rifugiati Filippo Grandi ha avvertito questa settimana che, sebbene sia soddisfatto dal sostegno dei Paesi che accolgono i rifugiati ucraini, «alcuni neri in fuga dall’Ucraina – e altre guerre e conflitti in tutto il mondo – non hanno ricevuto lo stesso trattamento».

La medesima discriminazione viene subita dai Rom provenienti dall’Ucraina, come denunciano gli attivisti di tale minoranza in Polonia. «Il nostro Paese – spiega Ela Mirga, artista polacca – sta offrendo una grande prova di generosità in questa tragedia, accogliendo oltre due milioni di profughi. […] Tra di loro ci sono, ogni giorno, anche un centinaio di ucraini rom. Molti sono privi di documenti e spesso non sanno dove andare: sono stati costretti ad accamparsi e presi di mira da bande neonaziste nei giorni scorsi. Ma il problema è che molti sono bloccati dentro i centri».

Dichiara Joanna Talewicz-Kwiatkowska, antropologa culturale polacca, attivista di diverse organizzazioni per i diritti civili che tutelano i rom ed essa stessa membro della comunità: «La situazione era già tesa in Ucraina, infatti nel 2018 ci sono stati pogrom e omicidi. Queste tensioni si sono spostate oltre confine quando è iniziata la guerra. In molti Paesi dell’Europa orientale i rom sono vittime di aggressioni a causa di stereotipi razziali, di xenofobia e odio in rete. Le accuse sono le solite, il più delle volte senza prove: rubano, rivendono all’esterno gli aiuti, ne ricevono troppi. […] Ma perché, anche tra i profughi ucraini non ci sono quasi sicuramente dei delinquenti?».

Cosa chiede Joanna? «Lancio due appelli. Il primo è alle comunità rom dei Paesi dell’Unione Europea. Aiutiamoci. Finora abbiamo organizzato trasferimenti in autobus solo verso Svezia e Germania. Il secondo è alle autorità polacche perché lancino una campagna contro l’antitziganismo, il razzismo, la xenofobia e le parole di odio. In questo clima ho paura anche per me e per la mia famiglia».

Ma veniamo ora alla situazione dell’accoglienza in Italia. Segnaliamo, come emblematico, il caso di Ismael, un ragazzo marocchino che studiava presso l’Università di Kharkiv. Dopo lo scoppio della guerra riesce fortunosamente a raggiungere Livorno dove viene accolto da uno zio.

Secondo la questura, Ismael non ha lo status che soddisfa le norme minime per accedere alla protezione temporanea alla quale, invece, tutti i profughi ucraini accedono; per cui l’avvocato che segue il suo caso dovrà avviare la pratica per ottenere la protezione internazionale che, come sappiamo, richiede tempi lunghi e spesso non ha un esito positivo.

Ma la discriminazione viene messa in atto anche da alcuni cittadini che pure si dichiarano disponibili ad aprire le proprie case ai profughi: a Palermo una donna si era dichiarata disponibile ad accogliere due ragazzi provenienti dall’Ucraina, ma quando ha scoperto che erano nigeriani, si è tirata indietro.

Per il momento hanno trovato ospitalità a Casteldaccia, nella Casa della Regina di Pace, dove una suora si sta dando molto da fare per trovare loro un alloggio per un periodo più lungo, ma al momento senza risultato. In Ucraina i due ragazzi frequentavano l’Università e ora la suora sta cercando di far loro riprendere gli studi in Italia. Segnaliamo che non era la prima volta che scappavano da una guerra: l’organizzazione terroristica Boko Haram, a Benin City, aveva ucciso i loro genitori, costringendoli alla fuga.

Passiamo ora all’accoglienza dei bambini e ragazzi ucraini nelle nostre scuole: a fine marzo ne sono stati accolti circa 6000. Per loro il ministero ha messo a disposizione oltre un milione di euro per mediatori linguistici e psicologi.

Uno sforzo encomiabile che ha però messo in luce le carenze che il sistema d’istruzione ha invece nei confronti dei minori migranti provenienti da paesi non europei. Per loro non sempre (anzi quasi mai) ci sono mediatori linguistici e le ore di alfabetizzazione primaria sono sempre poche. Ci sono bambini che arrivano e fanno fatica persino a trovare una scuola che permette loro di iscriversi.

In seguito alla pandemia, inoltre, le attività di potenziamento dell’italiano L2 si sono ridotte o interrotte. La realtà, comunque, al di là del Covid, è quella di alunni con cittadinanza non italiana che hanno poche ore di alfabetizzazione e si ritrovano in classi dove i docenti non sanno nemmeno l’inglese. Risultato? Restano spesso a fare gli spettatori delle lezioni senza capire e senza interagire.

In un prossimo articolo ci soffermeremo ancora su questa forma di razzismo strisciante che caratterizza l’accoglienza europea, analizzando gli accordi che sono stati raggiunti tra i diversi paesi dell’Unione e le nuove disposizioni italiane in materia di cooperazione internazionale.

————————————

1. Lighthouse Reports è un’organizzazione no-profit con sede nei Paesi Bassi che conduce complesse indagini transnazionali unendo metodi giornalistici tradizionali con tecniche emergenti.

Fonti

Left del 25 Marzo, Il Fatto quotidiano del 25, 28 e 29 Marzo, Avvenire del 26 Marzo.