La scuola – ne siamo convinti – è l’istituzione cardine per l’integrazione dei figli dei migranti. Purtroppo, però, tanti ragazzi e ragazze, arrivati in Italia dopo aver già studiato per alcuni anni nel loro paese d’origine, incontrano grandi difficoltà ad accedere alla scuola pubblica.
Molti perdono mesi, se non un anno intero, prima di riuscire a essere inseriti a scuola.
Un problema preliminare riguarda la difficoltà per le famiglie migranti a districarsi nella burocrazia necessaria all’iscrizione dei figli a scuola. La mole dei documenti richiesti dalle segreterie, una conoscenza della lingua italiana insufficiente e un accesso a internet limitato spesso spingono le famiglie in difficoltà a rinunciare all’iscrizione dei figli per l’anno scolastico in corso.
Le associazioni di volontariato forniscono spesso supporto ai familiari durante la procedura di iscrizione, e anche noi di El Comedor Giordano Liva lo abbiamo fatto spesso attraverso gli insegnanti della nostra Scuola di Italiano per Migranti. Attraverso i racconti degli studenti e delle studentesse che hanno frequentato in questi anni la nostra scuola siamo infatti venuti a conoscenza dei tanti problemi che hanno dovuto affrontare nel momento in cui i loro figli dovevano iscriversi a scuola.
L’ostacolo principale ad un’inclusione positiva ed efficace degli studenti stranieri nel sistema scolastico sta comunque nel gap linguistico: per tutti i migranti, in realtà, giovani e meno giovani, esso è come un freno a mano che impedisce di uscire dai margini e farsi strada a scuola e nel paese.
La legge 170 del 2010, per favorire l’inclusione degli alunni stranieri, così come di chiunque altro abbia dei Bisogni Educativi Speciali, dispone che il Consiglio di Classe rediga, a inizio anno, un Piano Didattico Personalizzato per ogni singolo alunno.
Ma questo non è sufficiente.
L’accoglienza in classe di un alunno che non sa l’italiano comporta infatti un grande impegno, sia per lo studente che per l’insegnante e i compagni di classe. Ogni scuola dovrebbe avere, nel proprio organico, un docente esperto di didattica dell’italiano come lingua seconda e garantire un corso intensivo di Italiano ai nuovi arrivati. Ma questo non accade.
Da qualche anno è stata istituita una classe di concorso di Docenza di Italiano a discenti stranieri ma, a tutt'oggi, non è ancora stato fatto un concorso ad hoc per, diciamo così, “riempirla”. Il prossimo concorso ordinario (che non si sa quando si svolgerà) prevede finalmente la prova anche per questa cattedra, ma i posti messi a concorso sono totalmente insufficienti per soddisfare il bisogno (si pensi che in Toscana sono solo 5).
Purtroppo la politica dei tagli alle spese per l’Istruzione rende sempre più difficile alle scuole lo svolgimento del proprio compito istituzionale sia nei confronti degli alunni stranieri che di quelli italiani che siano portatori di bisogni educativi speciali.
Le singole scuole cercano finanziamenti aggiuntivi, ma si tratta di risorse occasionali e non risolutive. Spesso, anche per i ragazzi stranieri che frequentano la scuola pubblica intervengono le associazioni di volontariato ma il loro lavoro, per quanto prezioso, non può essere sufficiente.
Spesso inoltre le scuole ricorrono alla pratica del “declassamento”: iscrivono cioè gli alunni stranieri ad una classe inferiore per superare le difficoltà linguistiche. Questa pratica, oltre a scoraggiare gli studenti e a indurli spesso all’abbandono, non serve a colmare il gap linguistico dello studente, che può risolversi solo con corsi intensivi di italiano paralleli all’attività scolastica.
Nel Lazio la Rete delle Scuole Migranti nel 2018 ha lanciato, ed ancora porta avanti, la campagna “A scuola anch’io”, finalizzata a dialogare con le scuole per migliorare l’accesso alla formazione dei “nuovi allievi”: bambini, ragazzi e adulti di origine straniera.
Sarebbe opportuno che anche in Toscana le associazioni di volontariato coinvolte in attività a sostegno dell’inserimento dei migranti si impegnassero in tal senso.
fonte: sito della Rete delle scuole migranti