Salari bassi… colpa degli immigrati?

Riprendiamo oggi il discorso sull’impatto delle migrazioni sulle economiE dei paesi di accoglienza, soffermandoci in particolare sulla loro ricaduta sui salari.
Numerosi studi dimostrano che l’utilizzo di manodopera straniera non ha effetti rilevanti sui livelli salariali dei nativi. Ad esempio, sulla rivista “Economia italiana”, sono stati di recente pubblicati i risultati di una ricerca che, analizzando dati INPS raccolti tra il 1995 e il 2015, dimostra che non solo gli immigrati non hanno rubato il lavoro agli italiani, ma che, al contrario, mentre i loro salari, dopo anni di gavetta in cantieri, fabbriche o hotel, sono rimasti più bassi di quelli dei dipendenti locali, le buste paga dei lavoratori nati in Italia, seppur di poco, sono aumentate.
I ricercatori hanno preso a riferimento i lavoratori del settore non agricolo e sono giunti alla seguente conclusione: “I risultati delle nostre analisi mostrano come l’ingresso dei migranti nei mercati locali del lavoro non indebolisce ma anzi aumenta, seppure in maniera molto lieve, i salari dei nativi: una variazione dell’offerta di lavoro migrante del 10% spinge i salari dei nativi in alto di 0,1%”. E’ un rialzo certamente minimo ma non è certo una diminuzione.

Questo studio conferma quanto sostenuto da una ricerca realizzata dal CNEL alcuni anni fa, secondo cui non si rilevava un effetto spiazzamento significativo sulle retribuzioni ricollegabile alla presenza di immigrati in un determinato territorio. Tale risultato era confermato anche restringendo l’analisi alle categorie più a rischio, ovvero ai lavoratori poco qualificati.
Anche nelle “Raccomandazioni per una corretta informazione” della Fondazione Leone Moressa, uno strumento operativo messo a disposizione dei giornalisti che si occupano dei problemi connessi al fenomeno migratorio, si sostiene che l’immigrazione non ha un effetto statisticamente significativo sulle retribuzioni dei nativi o sulla loro occupabilità.

Esiste invece un elevato gap tra la retribuzione degli stranieri e quella degli italiani a sfavore dei primi; divario dovuto alle basse qualifiche ricoperte dagli immigrati e alle difficoltà nel maturare i requisiti per un avanzamento di carriera. Gli occupati stranieri sono infatti spesso concentrati in pochi settori e la loro non è un’occupazione di qualità; è spesso legata alla necessità di non rimanere inattivi per poter sopravvivere e rinnovare il permesso di soggiorno.
Secondo il rapporto annuale 2018 ” Immigrant integration in Europe and Italy” dell’Osservatorio sulle migrazioni del Centro Studi Luca D’Agliano di Milano e del Collegio Carlo Alberto di Torino, pubblicato tempo fa sul Sole 24 ore, i redditi netti mensili degli immigrati sono inferiori del 26% rispetto a quello degli italiani.
Questa forbice salariale diminuisce con il passar degli anni di residenza, ma è andata complessivamente ampliandosi nel tempo. Nel 2017, in media gli immigrati guadagnano circa il 19% in meno dei nativi con le loro stesse caratteristiche e a parità di occupazione, mentre nel 2009 il divario era del 6%.

Finora abbiamo parlato di immigrati con permesso di soggiorno e un regolare contratto di lavoro.
Altro è il discorso per i cosiddetti irregolari o per i “clandestini”.
I salari dei lavoratori regolari ed irregolari hanno iniziato a divergere cospicuamente dall’inizio della crisi: mentre i primi rimanevano pressoché stabili, i secondi crollavano del 20%. La ragione è intuitiva: nel lavoro irregolare la retribuzione può scendere senza vincoli normativi, cosa che ovviamente non può avvenire nel mercato del lavoro regolamentato.
E’ proprio sulle bassissime retribuzioni di questa fetta di immigrati che si innesta il discorso xenofobo della “concorrenza sleale” secondo cui i clandestini, essendo ricattabili, si accontentano di salari di fame che mai un italiano per dignità potrebbe accettare. In pratica, se loro non ci fossero, i salari si alzerebbero e gli italiani potrebbero anche accettare di lavorare
in quei settori che al momento sono a quasi totale appannaggio dei lavoratori stranieri.
A parte il ragionevole dubbio sull’effettiva disponibilità dei giovani e delle giovani italiane a fare i braccianti o i badanti, come spesso accade non si riesce a cogliere quale sia il reale “nemico”.
I responsabili di salari da fame e di condizioni di lavoro non tollerabili in agricoltura sono i migranti o non sono piuttosto gli imprenditori senza scrupoli, il sistema del caporalato, la mancanza di controlli da parte dello stato, una legislazione che rende quasi impossibile la regolarizzazione ?
Non ci troviamo di fronte alla tradizionale “guerra tra poveri” che tanto giova a chi si arricchisce sfruttandoli tutti?

Riflettiamoci.